Storia di Montesilvano

LA STORIA DI MONTESILVANO

Nella seconda metà del Terzo millennio a.C., gli abitanti del luogo svolgevano pacifiche attività che furono sconvolte dall’arrivo di 𝙥𝙖𝙨𝙩𝙤𝙧𝙞 𝙚𝙣𝙚𝙤𝙡𝙞𝙩𝙞𝙘𝙞, provenienti dai territori del Mediterraneo Orientale costretti all’emigrazione per via dell’inaridimento del loro territorio. Tale arrivo disturbò fortemente la libera evoluzione degli indigeni, ma fecero conoscere anche nuovi riti e culti: forse lo stesso nome di 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤, si origina e si richiama a questi uomini eneolitici.

L’𝙀𝙣𝙚𝙤𝙡𝙞𝙩𝙞𝙘𝙤 è il periodo finale del 𝙉𝙚𝙤𝙡𝙞𝙩𝙞𝙘𝙤, della durata di circa 8 secoli, nel quale compaiono accanto agli 𝙨𝙩𝙧𝙪𝙢𝙚𝙣𝙩𝙞 𝙙𝙞 𝙥𝙞𝙚𝙩𝙧𝙖, che rimangono in assoluta preponderanza quantitativa, i 𝙥𝙧𝙞𝙢𝙞 𝙤𝙜𝙜𝙚𝙩𝙩𝙞 𝙙𝙞 𝙢𝙚𝙩𝙖𝙡𝙡𝙤, e precisamente di rame quasi puro.

A cavallo tra l’𝙀𝙩𝙖̀ 𝙙𝙚𝙡 𝘽𝙧𝙤𝙣𝙯𝙤 e l’𝙀𝙩𝙖̀ 𝙙𝙚𝙡 𝙁𝙚𝙧𝙧𝙤 (I millennio avanti Cristo) è possibile rintracciare insediamenti più o meno permanentemente sparsi sul 𝙩𝙚𝙧𝙧𝙞𝙩𝙤𝙧𝙞𝙤 𝙘𝙤𝙡𝙡𝙞𝙣𝙖𝙧𝙚 𝙙𝙞 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤, come attesta il 𝙫𝙞𝙡𝙡𝙖𝙜𝙜𝙞𝙤 𝙙𝙞 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚 𝙙𝙚𝙡 𝙏𝙚𝙡𝙚𝙜𝙧𝙖𝙛𝙤.

𝘾𝙝𝙞𝙚𝙨𝙖 𝙙𝙞 𝙎𝙖𝙣 𝙈𝙞𝙘𝙝𝙚𝙡𝙚 𝘼𝙧𝙘𝙖𝙣𝙜𝙚𝙡𝙤 a 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚

Anche se non sono state avviate campagne sistematiche di scavi, si ipotizza quasi certamente la presenza di un 𝙥𝙖𝙜𝙪𝙨 𝙈𝙤𝙣𝙨 𝙎𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙞, di origine vestina, il cui 𝙗𝙖𝙨𝙩𝙞𝙤𝙣𝙚 era situato nel punto in cui sorse la 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙨𝙖 𝙙𝙞 𝙎𝙖𝙣 𝙈𝙞𝙘𝙝𝙚𝙡𝙚 𝘼𝙧𝙘𝙖𝙣𝙜𝙚𝙡𝙤 a 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚.

La presenza di ben tre sorgenti giunte a noi con i nomi di 𝙁𝙤𝙣𝙩𝙞𝙘𝙚𝙡𝙡𝙖, 𝙁𝙤𝙣𝙩𝙚 𝙑𝙚𝙘𝙘𝙝𝙞𝙖 e 𝙁𝙤𝙣𝙩𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡’𝙊𝙡𝙢𝙤, rendeva il territorio ancora più accogliente. Il 𝙥𝙖𝙜𝙪𝙨 di 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤, costruito per ragioni difensive era a vista con quello di 𝘾𝙞𝙩𝙩𝙖̀ 𝙎𝙖𝙣𝙩`𝘼𝙣𝙜𝙚𝙡𝙤, ma anche con quello di 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚 𝙙𝙚𝙡 𝙏𝙚𝙡𝙚𝙜𝙧𝙖𝙛𝙤 (a Pescara) e molto probabilmente la 𝙁𝙤𝙣𝙩𝙚 𝙑𝙚𝙘𝙘𝙝𝙞𝙖 aveva una 𝙛𝙪𝙣𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙗𝙖𝙧𝙞𝙘𝙚𝙣𝙩𝙧𝙞𝙘𝙖 rispetto a quella di altri piccoli pagi sorti nella zona.

Da 𝙁𝙤𝙧𝙘𝙖 𝙙𝙞 𝙋𝙚𝙣𝙣𝙚 transitava poi il 𝙩𝙧𝙖𝙩𝙩𝙪𝙧𝙤 che scendeva verso l’Adriatico e toccava anche la costa di Montesilvano e non vi è dubbio che i traffici della 𝙩𝙧𝙖𝙣𝙨𝙪𝙢𝙖𝙣𝙯𝙖, oltre ai prodotti della terra e della pesca, dovessero permeare la vita di queste popolazioni.

Nel 290 a.C. i 𝙍𝙤𝙢𝙖𝙣𝙞, dopo aver conquistato l’Abruzzo, per poterlo controllare istituirono 𝙘𝙤𝙡𝙤𝙣𝙞𝙚 𝙙𝙞 𝙙𝙞𝙧𝙞𝙩𝙩𝙤 𝙡𝙖𝙩𝙞𝙣𝙤. Il 𝙘𝙖𝙨𝙩𝙚𝙡𝙡𝙪𝙢 𝙙𝙞 𝙈𝙤𝙣𝙨 𝙎𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙪𝙨 fu un piccolo centro fortificato, 𝙤𝙥𝙥𝙞𝙙𝙪𝙢, eretto a difesa della pastorizia locale in stretta sinergia con il castello più grande di Città Sant’Angelo, ma che poi divenne un centro abitato più florido in epoca romana con una serie di contrade e ville sul territorio.

Gli stessi 𝙍𝙤𝙢𝙖𝙣𝙞 compresero l’importanza della pastorizia e disciplinarono con la 𝙇𝙚𝙭 𝘼𝙜𝙧𝙖𝙧𝙞𝙖 del 111 a.C. l’uso delle 𝙘𝙖𝙡𝙡𝙚𝙨, (𝘱𝘦𝘳𝘤𝘰𝘳𝘴𝘪 𝘦𝘳𝘣𝘰𝘴𝘪 𝘱𝘢𝘴𝘵𝘰𝘳𝘢𝘭𝘪), attraverso il 𝙥𝙖𝙜𝙖𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤 𝙙𝙞 𝙩𝙖𝙨𝙨𝙚. Questi percorsi erbosi presero il nome di 𝙩𝙧𝙖𝙘𝙩𝙤𝙧𝙞𝙖 e successivamente per deformazione lessicale di 𝙩𝙧𝙖𝙩𝙩𝙪𝙧𝙞. E’ superfluo sottolineare che tale sistema rimase sostanzialmente invariato fino alla metà del 1447, quando gli 𝘼𝙧𝙖𝙜𝙤𝙣𝙚𝙨𝙞 regolamentarono i percorsi tratturali e, con l’intento di incrementare le entrate, istituirono la 𝙙𝙤𝙜𝙖𝙣𝙖 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙚 𝙥𝙚𝙘𝙤𝙧𝙚 𝙖 𝙁𝙤𝙜𝙜𝙞𝙖 per registrare finanche la 𝙥𝙚𝙨𝙖 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙡𝙖𝙣𝙖; una 𝙥𝙞𝙘𝙘𝙤𝙡𝙖 𝙙𝙤𝙜𝙖𝙣𝙖 fu istituita anche ad 𝘼𝙩𝙧𝙞.

Al tempo dei 𝙍𝙤𝙢𝙖𝙣𝙞 la presenza delle 𝙨𝙖𝙡𝙞𝙣𝙚 alla foce dell’omonimo fiume ed il loro sfruttamento determinarono lo sviluppo di un approdo sul fiume ed una contrada o villaggio sorti a seguito della lavorazione del sale (𝘼𝙙 𝙎𝙖𝙡𝙞𝙣𝙖𝙨). L’insediamento abitativo si sviluppò in 𝙈𝙖𝙧𝙞𝙣𝙖 𝙙𝙞 𝘾𝙞𝙩𝙩𝙖`𝘼𝙣𝙜𝙚𝙡𝙤, nei pressi dell’attuale 𝙫𝙞𝙖 𝙎𝙖𝙡𝙖𝙧𝙖 𝙑𝙚𝙘𝙘𝙝𝙞𝙖. La 𝙘𝙤𝙢𝙢𝙚𝙧𝙘𝙞𝙖𝙡𝙞𝙯𝙯𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙙𝙚𝙡 𝙨𝙖𝙡𝙚 determinò la 𝙘𝙤𝙨𝙩𝙧𝙪𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙎𝙖𝙡𝙖𝙧𝙞𝗮 che da 𝙍𝙤𝙢𝗮 raggiungeva 𝘼𝙨𝙘𝙪𝙡𝙪𝙢 (l’odierna 𝘼𝙨𝙘𝙤𝙡𝙞 𝙋𝙞𝙘𝙚𝙣𝙤) per raggiungere 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙧𝙪𝙢 𝙏𝙧𝙪𝙚𝙣𝙩𝙞𝙣𝙪𝙢 (l’odierna 𝙈𝙖𝙧𝙩𝙞𝙣𝙨𝙞𝙘𝙪𝙧𝙤), che aveva sviluppato anche un porto sulla riva destra del fiume Tronto. Da qui la strada si univa alla litoranea (𝙁𝙡𝙖𝙢𝙞𝙣𝙞𝙖 poi 𝙏𝙧𝙖𝙞𝙖𝙣𝙚𝙖, che collegava 𝘼𝙣𝙘𝙤𝙣𝙖 con 𝘽𝙧𝙞𝙣𝙙𝙞𝙙𝙞), toccava 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙧𝙪𝙢 𝙉𝙤𝙫𝙪𝙢 (𝙂𝙞𝙪𝙡𝙞𝙖𝙣𝙤𝙫𝙖) per giungere 𝘼𝙙 𝙎𝙖𝙡𝙞𝙣𝙖𝙨. 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙧𝙪𝙢 𝙉𝙤𝙫𝙪𝙢 era anche il terminale della 𝘾𝙖𝙚𝙘𝙞𝙡𝙞𝙖 che da 𝙍𝙤𝙢𝙖 toccava 𝘼𝙢𝙞𝙩𝙚𝙧𝙣𝙪𝙢, quindi, procedendo verso est anche Teramo e Giulianova.

Grazie ai vari collegamenti viari e marittimi, (non si dimentichi che vi era anche il vicino 𝙥𝙤𝙧𝙩𝙤 𝙙𝙞 𝘼𝙩𝙚𝙧𝙣𝙪𝙢), i carichi di sale potevano prendere varie direzioni. In epoca medievale il 𝙥𝙤𝙧𝙩𝙤 𝙨𝙪𝙡 𝙎𝙖𝙡𝙞𝙣𝙚 era protetto da una 𝙩𝙤𝙧𝙧𝙚 𝙙’𝙖𝙫𝙫𝙞𝙨𝙩𝙖𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤 collegata a vista con quelle della costa e verso l’interno con la 𝙩𝙤𝙧𝙧𝙚 𝙣𝙤𝙧𝙢𝙖𝙣𝙣𝙖 della 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙨𝙖 𝙙𝙞 𝙎𝙖𝙣 𝙈𝙞𝙘𝙝𝙚𝙡𝙚 𝘼𝙧𝙘𝙖𝙣𝙜𝙚𝙡𝙤 a 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚. La presenza delle saline ha lasciato delle tracce nella toponomastica: il percorso via terra in direzione sud prevede la via Salaria che da Villa Carmine attraverso le attuali via San Gottardo, via Chiarini e via Verrotti, rasentando le colline, giungeva fino a Pescara e da qui verso l’interno attraverso la via Salaria Vecchia parallela alla Tiburtina. Vi è la via Salara Vecchia a Marina di Città Sant’Angelo, che vicino ha la via del Porto Romano che nella toponomastica ricorda la presenza dell’antico approdo. Lo sfruttamento delle saline, quindi, unito alle attività di agricoltura, pesca, allevamento e transumanza determinò uno sviluppo sia del 𝙥𝙖𝙜𝙪𝙨 𝙈𝙤𝙣𝙨 𝙎𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙞 che del 𝙫𝙞𝙡𝙡𝙖𝙜𝙜𝙞𝙤 𝘼𝙙 𝙎𝙖𝙡𝙞𝙣𝙖𝙨.

In località 𝘾𝙤𝙣𝙩𝙧𝙖𝙙𝙖 𝙏𝙚𝙨𝙤𝙧𝙤, 100 metri prima con l’incrocio con la via Vestina, sono sepolti i resti di una 𝙜𝙧𝙖𝙣𝙙𝙚 𝙫𝙞𝙡𝙡𝙖 𝙧𝙤𝙢𝙖𝙣𝙖 con annesso impianto di 𝙛𝙤𝙧𝙣𝙖𝙘𝙞, occupato dall’età tardo repubblicana quanto meno sino al V secolo d.C.; le attività della villa romana continuarono anche dopo la cessazione della fornace sino ai secoli V – VII, finendo solo con la fine della presenza bizantina .

In particolare l’𝙖𝙧𝙘𝙝𝙚𝙤𝙡𝙤𝙜𝙤 𝘼.𝙍. 𝙎𝙩𝙖𝙛𝙛𝙖 evidenzia come il rinvenimento di frammenti di 𝙖𝙣𝙛𝙤𝙧𝙚 𝙫𝙞𝙣𝙖𝙧𝙞𝙚 del tipo “Adriatico a fondo piatto” fece supporre la presenza della fornace, poiché queste erano dotate di bollo con iscrizione 𝘾𝙣(𝙖𝙚𝙞). 𝙃𝙚𝙧𝙧𝙖𝙣𝙞. 𝙂𝙚𝙢𝙞𝙣𝙞𝙨. La fornace è attribuita a 𝙂𝙣𝙚𝙤 𝙀𝙧𝙧𝙖𝙧𝙞𝙤 𝙂𝙚𝙢𝙞𝙣𝙞, primo cittadino di Montesilvano di cui si conoscono con esattezza le generalità, ed era un importante complesso produttivo che commercializzava le anfore attraverso l’approdo di 𝘼𝙙 𝙎𝙖𝙡𝙞𝙣𝙖𝙨 (ubicato prevalentemente nella riva sinistra del Saline a Marina di Città Sant’Angelo, nei pressi del casello autostradale Pescara Nord – Città Sant’Angelo sulla A 14 e nei pressi dell’attuale Motel Agip). Il personaggio citato sembra che appartenesse ad una importante famiglia di origine teatina; la cosa singolare è che della stessa origine teatina era la 𝙛𝙖𝙢𝙞𝙜𝙡𝙞𝙖 𝙙𝙚𝙞 𝙉𝙞𝙣𝙣𝙞𝙞, proprietari in zona di una seconda fornace che produceva anfore simili.

Il primo insediamento documentato risale al IX sec. d.C., ed esattamente nell’872, quando la 𝘿𝙞𝙤𝙘𝙚𝙨𝙞 𝙙𝙞 𝙋𝙚𝙣𝙣𝙚 divise il territorio compreso fra i fiumi Saline e Pescara con il nascente 𝙈𝙤𝙣𝙖𝙨𝙩𝙚𝙧𝙤 𝙙𝙞 𝙎𝙖𝙣 𝘾𝙡𝙚𝙢𝙚𝙣𝙩𝙚 𝙖 𝘾𝙖𝙨𝙖𝙪𝙧𝙞𝙖.

All’inizio del IX sec. aumentarono le incursioni dei 𝙥𝙞𝙧𝙖𝙩𝙞 𝙨𝙖𝙧𝙖𝙘𝙚𝙣𝙞, i quali , al comando di 𝙎𝙤𝙡𝙮𝙢𝙖𝙣 𝙋𝙖𝙨𝙘𝙞𝙖̀, una volta conquistata 𝘼𝙩𝙚𝙧𝙣𝙪𝙢 e, messa a ferro e fuoco la costa, strinsero d’assedio Chieti e desistettero solamente dopo un 𝙢𝙞𝙧𝙖𝙘𝙤𝙡𝙤 𝙙𝙞 𝙎𝙖𝙣 𝙂𝙞𝙪𝙨𝙩𝙞𝙣𝙤 il quale, secondo la tradizione popolare avrebbe ascoltato le preghiere del popolo teatino e avrebbe ottenuto dal Signore di apparire con un mite augello che, sorvolando le schiere nemiche, veniva visto dai 𝙎𝙖𝙧𝙖𝙘𝙚𝙣𝙞 come un segno di Dio che appoggiava il popolo di Chieti. Ciò bastò a metterli in fuga ed a levare l’assedio.

Nel 947 d.C. arrivarono gli 𝙐𝙣𝙜𝙖𝙧𝙞 che dopo aver invaso la 𝙇𝙤𝙢𝙗𝙖𝙧𝙙𝙞𝙖, il 𝙋𝙞𝙚𝙢𝙤𝙣𝙩𝙚 e l’𝙀𝙢𝙞𝙡𝙞𝙖, proseguirono lungo la penisola fino a sottoporre 𝙊𝙩𝙧𝙖𝙣𝙩𝙤 ad un terribile saccheggio.

Un secolo dopo, nel 1053 d.C. a seguito della 𝘽𝙖𝙩𝙩𝙖𝙜𝙡𝙞𝙖 𝙙𝙞 𝘾𝙞𝙫𝙞𝙩𝙖𝙩𝙚 in Puglia i 𝙉𝙤𝙧𝙢𝙖𝙣𝙣𝙞, dapprima insediati in 𝙎𝙞𝙘𝙞𝙡𝙞𝙖, iniziarono a risalire la penisola e nel 1077 sconfissero ad 𝙊𝙧𝙩𝙤𝙣𝙖 i conti 𝘼𝙩𝙩𝙤𝙣𝙞𝙙𝙞 di Chieti.

Ruggero riceve la corona da Cristo (dettaglio; mosaico presso la chiesa della Martorana)

Alcune cronache fanno risalire l’antico insediamento di 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚 al 1114, così come attesta un documento del re normanno 𝙍𝙪𝙜𝙜𝙚𝙧𝙤, ove si cita per la prima volta il nome di questa città, che ricomparirà solo in seguito, nel 1140, in una descrizione della 𝘿𝙞𝙤𝙘𝙚𝙨𝙞 𝙙𝙞 𝙋𝙚𝙣𝙣𝙚.

L’attuale 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚 come 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙚𝙡𝙡𝙪𝙢 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙞𝙨 𝙎𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙞 nacque quindi come insediamento accentrato e fortificato per volontà di un signore locale, in questo caso il 𝙫𝙚𝙨𝙘𝙤𝙫𝙤 𝙙𝙞 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙩𝙞, al fine di riunire e difendere le popolazioni rurali sparse sul territorio (il sito stesso di 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚 era, peraltro, già occupato da abitazioni sparse già dalla fine del IX sec. come riportato da un’altra fonte di evidente rilevanza, il celebre 𝘾𝙝𝙧𝙤𝙣𝙞𝙘𝙤𝙣 𝘾𝙖𝙙𝙖𝙪𝙧𝙞𝙚𝙣𝙨𝙚).

Questo tentativo di 𝙞𝙣𝙘𝙖𝙨𝙩𝙚𝙡𝙡𝙖𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤 arrivò abbastanza tardi nel panorama generale abruzzese, punteggiato di castelli già dalla fine del X sec.

Il motivo fu forse che il sito di 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚 era stata solo una seconda scelta in quanto un primo tentativo di incastellamento era stato fatto un secolo prima con il borgo fortificato di 𝘾𝙤𝙧𝙤𝙣𝙪𝙡𝙚.

Questo castello si trovava a sud-ovest di 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚, probabilmente nell’area di 𝙎𝙖𝙣𝙩𝙖 𝙑𝙚𝙣𝙚𝙧𝙚, dove era situato un antico insediamento italico o nella vicina 𝘾𝙤𝙣𝙩𝙧𝙖𝙙𝙖 𝙙𝙞 𝙎𝙖𝙣 𝙂𝙞𝙤𝙫𝙖𝙣𝙣𝙞: eretto nell’ XI sec. dai benedettini di 𝙎𝙖𝙣 𝘾𝙡𝙚𝙢𝙚𝙣𝙩𝙚 𝙖 𝘾𝙖𝙨𝙖𝙪𝙧𝙞𝙖, il 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙚𝙡𝙡𝙤 𝙙𝙞 𝘾𝙤𝙧𝙤𝙣𝙪𝙡𝙚 fu abbandonato poi successivamente nel XII sec. per concentrare la popolazione nel nuovo 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙚𝙡𝙡𝙤 𝙙𝙞 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 anche se per qualche tempo restò attiva la sua chiesa intitolata a 𝙎𝙖𝙣 𝙁𝙚𝙡𝙞𝙘𝙚.

Dal 1095 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚 si trovò quindi ad essere territorialmente divisa e tassata dalle 𝘿𝙞𝙤𝙘𝙚𝙨𝙞 𝙙𝙞 𝙋𝙚𝙣𝙣𝙚 e dalla 𝘿𝙞𝙤𝙘𝙚𝙨𝙞 𝙙𝙞 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙩𝙞, inoltre, dal 1166, con bolla di 𝙥𝙖𝙥𝙖 𝘼𝙡𝙚𝙨𝙨𝙖𝙣𝙙𝙧𝙤 𝙄𝙄𝙄, ratificata nel 1195 da 𝙥𝙖𝙥𝙖 𝘾𝙚𝙡𝙚𝙨𝙩𝙞𝙣𝙤 𝙄𝙄𝙄, anche dal 𝙈𝙤𝙣𝙖𝙨𝙩𝙚𝙧𝙤 𝙙𝙞 𝙎𝙖𝙣

Abbazia di San Clemente a Casauria

𝘾𝙡𝙚𝙢𝙚𝙣𝙩𝙚 𝙖 𝘾𝙖𝙨𝙖𝙪𝙧𝙞𝙖 che vantava il possesso in 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚 della chiesa bastione di 𝙎𝙖𝙣 𝙌𝙪𝙞𝙧𝙞𝙘𝙤 (oggi 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙨𝙖 𝙙𝙞 𝙎𝙖𝙣 𝙈𝙞𝙘𝙝𝙚𝙡𝙚 𝘼𝙧𝙘𝙖𝙣𝙜𝙚𝙡𝙤) e delle sue pertinenze.

La 𝘿𝙞𝙤𝙘𝙚𝙨𝙞 𝙙𝙞 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙩𝙞 proseguì la sua espansione territoriale riuscendo ad ottenere dall’𝙞𝙢𝙥𝙚𝙧𝙨𝙩𝙤𝙧𝙚 𝙀𝙣𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙑𝙄, grazie all’azione del 𝙫𝙚𝙨𝙘𝙤𝙫𝙤 𝘽𝙖𝙧𝙩𝙤𝙡𝙤𝙢𝙚𝙤, il possesso dell’intero demanio del 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙚𝙡𝙡𝙪𝙢 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙞𝙨 𝙎𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙞. Tale diploma fu definitivamente sancito nel 1208 da 𝙥𝙖𝙥𝙖 𝙄𝙣𝙣𝙤𝙘𝙚𝙣𝙯𝙤 𝙄𝙄𝙄 dal momento che da tempo erano sorti i contrasti con la 𝘾𝙤𝙣𝙩𝙚𝙖 𝙙𝙞 𝙍𝙖𝙮𝙖𝙣𝙤 che, a sua volta rivendicava il possesso del castello. Non solo il castello di 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚, ma anche il possesso del territorio di 𝙎𝙚𝙡𝙫𝙖 𝙂𝙖𝙡𝙡𝙞𝙘𝙞𝙖, che ricadeva sotto la giurisdizione della 𝘿𝙞𝙤𝙘𝙚𝙨𝙞 𝙙𝙞 𝙋𝙚𝙣𝙣𝙚, suscitava forti contrasti tra varie nobili famiglie pennesi: gli Orsini, i Palmeri ed i Castiglione.

Si decise di interpellare l’𝙞𝙢𝙥𝙚𝙧𝙖𝙩𝙤𝙧𝙚 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄, ma questi non riuscì a risolvere favorevolmente la controversia. Si decise allora di rivolgersi alla Chiesa e fu proprio una visita di 𝙎𝙖𝙣 𝙁𝙧𝙖𝙣𝙘𝙚𝙨𝙘𝙤𝙤 𝙙’𝘼𝙨𝙨𝙞𝙨𝙞 alle contrade pennesi, nel 1216, a calmare gli animi ed a far sì che l’oggetto della controversia venisse devoluto ai frati francescani perché vi costruissero i primi conventi.

Proprio a 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚 fu costruito il primo convento francescano dedicato a 𝙎𝙖𝙣 𝙉𝙞𝙘𝙤𝙡𝙖 (poiché 𝙎𝙖𝙣 𝙁𝙧𝙖𝙣𝙘𝙚𝙨𝙘𝙤 𝙙’𝘼𝙨𝙨𝙞𝙨𝙞 all’epoca era ancora vivo). L’antico convento francescano doveva essere stato edificato in prossimità della chiesa: ciò viene confermato anche da vari autori. Di questo 𝙡𝙤𝙘𝙪𝙨 𝙛𝙧𝙖𝙣𝙘𝙚𝙨𝙘𝙖𝙣𝙤 ne parlano 𝙋𝙖𝙤𝙡𝙞𝙣𝙤 𝙙𝙖 𝙑𝙚𝙣𝙚𝙯𝙞𝙖 nel 𝙋𝙧𝙤𝙫𝙞𝙣𝙘𝙞𝙖𝙡𝙚 𝙑𝙚𝙩𝙪𝙨𝙩𝙞𝙨𝙨𝙞𝙢𝙪𝙨 (Provinciale Ordinis Fratrum Minorum Vetustissimum Secundum Codicem Vaticanum) redatto tra il 1334 e il 1344, 𝙥𝙖𝙥𝙖 𝙂𝙧𝙚𝙜𝙤𝙧𝙞𝙤 𝙄𝙓 in una bolla del 23 Luglio del 1373 con la quale veniva scomunicato 𝙑𝙞𝙩𝙖𝙡𝙚, 𝙫𝙚𝙨𝙘𝙤𝙫𝙤 𝙙𝙞 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙩𝙞, ma anche 𝙋. 𝘽𝙖𝙧𝙩𝙤𝙡𝙤𝙢𝙚𝙤 𝙋𝙞𝙨𝙖𝙣𝙤 nelle sue 𝘾𝙤𝙣𝙛𝙤𝙧𝙢𝙞𝙩𝙖̀ e 𝙍𝙤𝙙𝙪𝙡𝙛𝙤 nella 𝙎𝙩𝙤𝙧𝙞𝙖 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙎𝙚𝙧𝙖𝙛𝙞𝙘𝙖 𝙍𝙚𝙡𝙞𝙜𝙞𝙤𝙣𝙚.

Nel 1259 il 𝙫𝙚𝙨𝙘𝙤𝙫𝙤 𝘼𝙡𝙚𝙨𝙨𝙖𝙣𝙙𝙧𝙤 della 𝘿𝙞𝙤𝙘𝙚𝙨𝙞 𝙙𝙞 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙩𝙞 concesse 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚 a 𝘽𝙚𝙧𝙣𝙖𝙧𝙙𝙤 𝙙𝙞 𝙍𝙖𝙮𝙖𝙣𝙤 col canone di due once d’oro da pagare nella 𝙁𝙚𝙨𝙩𝙖 𝙙𝙞 𝙎𝙖𝙣 𝙂𝙞𝙪𝙨𝙩𝙞𝙣𝙤 e nella 𝙊𝙩𝙩𝙖𝙫𝙖 𝙙𝙞 𝙋𝙖𝙨𝙦𝙪𝙖. Il 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙚𝙡𝙡𝙤 𝙙𝙞 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 fu occupato nel 1289 dall’omonimo nipote di 𝘽𝙚𝙧𝙣𝙖𝙧𝙙𝙤 𝙙𝙞 𝙍𝙖𝙮𝙖𝙣𝙤 che lo tenne fino al 1319. Il castello rimase in questo periodo sempre in proprietà della 𝘿𝙞𝙤𝙘𝙚𝙨𝙞 𝙙𝙞 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙩𝙞 che lo concedeva a questo o quel feudatario in cambio di un canone in danaro e quindi divenne feudo di svariate famiglie, e, proprio in queste dispute feudali si inserisce la dichiarazione di scomunica, redatta il 1 gennaio 1354 dal 𝙫𝙚𝙨𝙘𝙤𝙫𝙤 𝘽𝙖𝙧𝙩𝙤𝙡𝙤𝙢𝙚𝙤 nella cattedrale “innanzi all’altare del beato Giustino, nella cripta della stessa chiesa”, contro 𝘼𝙣𝙩𝙤𝙣𝙞𝙤 𝙙𝙚 𝘾𝙖𝙣𝙩𝙚𝙡𝙢𝙞𝙨, possessore illegittimo di 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚.

I frati francescani del 𝙈𝙤𝙣𝙖𝙨𝙩𝙚𝙧𝙤 𝙙𝙞 𝙎𝙖𝙣 𝙉𝙞𝙘𝙤𝙡𝙖 𝙙𝙞 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚, convinti assertori della inopportunità del potere temporale della chiesa, diedero appoggio alle milizie del conte 𝙍𝙚𝙨𝙩𝙖𝙞𝙣𝙤 𝙙𝙚 𝘾𝙖𝙣𝙩𝙚𝙡𝙢𝙞𝙨, che tra il 1355 ed il 1372 occuparono a più riprese il 𝙛𝙚𝙪𝙙𝙤 𝙙𝙞 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚 contestandone il possesso alla curia teatina; in tal modo determinò la reazione furente del 𝙫𝙚𝙨𝙘𝙤𝙫𝙤 𝙙𝙞 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙩𝙞, 𝙑𝙞𝙩𝙖𝙡𝙚, che distrusse 𝘮𝘢𝘯𝘶 𝘢𝘳𝘮𝘢𝘵𝘢 coi suoi armati (una masnada di mercenari) il convento francescano di 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚 mettendolo a ferro e fuoco, ma fu per questo scomunicato il 23 Luglio 1375 da 𝙥𝙖𝙥𝙖 𝙂𝙧𝙚𝙜𝙤𝙧𝙞𝙤 𝙄𝙓. Nella 𝙃𝙞𝙨𝙩𝙤𝙧𝙞𝙖 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝘾𝙞𝙩𝙩𝙖̀ 𝙙𝙞 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙩𝙞 scritta da 𝙂𝙞𝙧𝙤𝙡𝙖𝙢𝙤 𝙉𝙞𝙘𝙤𝙡𝙞𝙣𝙤 si legge dei contrasti tra 𝙍𝙚𝙨𝙩𝙖𝙞𝙣𝙤 𝙙𝙚 𝘾𝙖𝙣𝙩𝙚𝙡𝙢𝙞𝙨 e il 𝙫𝙚𝙨𝙘𝙤𝙫𝙤 𝙑𝙞𝙩𝙖𝙡𝙚 per il 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙚𝙡𝙡𝙤 𝙙𝙞 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤; la cronaca riporta inoltre che il vescovo morì «𝘧𝘶𝘰𝘳𝘪 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘊𝘰𝘳𝘵𝘦 𝘙𝘰𝘮𝘢𝘯𝘢» (perifrasi edulcorata per indicare la scomunica per aver fatto distruggere sia la chiesa che il convento con atto di forza e crudeltà verso i frati).

Oggi di questo convento e della sua esistenza attigua all’abitato del paese restano solo qualche riferimento nella tradizione popolare.

Il conclamato possesso del feudo del 1195 determinò nella 𝘿𝙞𝙤𝙘𝙚𝙨𝙞 𝙙𝙞 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙩𝙞 anche il desiderio di abbattere la 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙨𝙖 𝙙𝙞 𝙎𝙖𝙣 𝙌𝙪𝙞𝙧𝙞𝙘𝙤, già realizzata su un preesistente tempio romano, per edificarvi il poderoso bastione e la 𝘾𝙝𝙞𝙚𝙨𝙖 𝙙𝙞 𝙎𝙖𝙣 𝙈𝙞𝙘𝙝𝙚𝙡𝙚 𝘼𝙧𝙘𝙖𝙣𝙜𝙚𝙡𝙤 realizzata proprio nel 1200 d.C. Ciò appare una prova tangibile dell’esistenza di un nucleo abitativo a 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙨𝙞𝙡𝙫𝙖𝙣𝙤 𝘾𝙤𝙡𝙡𝙚, in quanto la presenza del bastione andava incontro alle ovvie esigenze difensive sia della chiesa che della popolazione ricompresa all’interno della cerchia muraria.

Nelle immagini:

una cartina amministrativa di Montesilvano Colle di epoca normanna in cui sono rintracciabili le contrade limitrofe.

La cartina è ripresa dal volume Toponomastica d’Italia dell’autore abruzzese Antonio Sciarretta.

alcune pagine della Historia della Città di Chieti di Girolamo Nicolino.